L’atteso dato sull’inflazione USA ha innescato una forte volatilità sui mercati finanziari.
Il timore di trovarsi di fronte a un dato peggiore delle attese è diventato realtà, quando il Bureau of Labor Statistics ha annunciato che il tasso di inflazione annuale ha rallentato all’8,2% a settembre, ma meno rispetto alle previsioni che erano all’8,1%. Su base mensile l’aumento è stato dello 0,4%, oltre il +0,2% previsto.
Il tasso core, che esclude gli elementi più volatilti come alimentari ed energia, è salito al 6,6%, il più alto dall’agosto 1982, e al di sopra delle aspettative del mercato del 6,5%.
Questi dati dimostrano che le pressioni inflazionistiche rimangono elevate, e in definitiva forniscono un nuovo assist alla FED per mantenere un approccio molto aggressivo di politica monetaria. Ormai si dà per scontato che la banca centrale alzerà i tassi di 75 punti base a inizio novembre.
Tutto ciò aveva inizialmente dato una spinta molto forte al , che salito fino a 113,8, avvicinandosi ai masimi ventennali.
Poi però c’è stato un deciso dietrofront (l’Index è scivolato su 112,4), quando il sentimento di rischio è tornato sui mercati, come dimostra il “Rollercoaster” (montagne russe) di Wall Street: il DowJones ad esempio, era partito con un calo di 500 punti, per poi schizzare in positivo di 600.
Ne approfittano l’euro, che si è avvicinato a quota 0,98 (), ma soprattutto la sterlina, che dopo le enormi difficoltà degli ultimi tempi si è riportata a 1.13402 ().