La lettura delle minute dell’ultimo meeting della FED non ha smosso granché il mercato valutario: non sono riusciti a dare una spinta al dollaro, ne’ tantomeno ad arrestare la sua debolezza.
Va precisato che i funzionari della Federal Reserve si sono riunitisi il 21 e 22 marzo, ossia alcuni giorni dopo il crollo della Silicon Valley Bank, con le turbolenze bancarie che erano ancora vive e minacciavano di rallentare la crescita economica.
Dai verbali del Fomc emerge che i funzionari americani non erano sicuri fino a che punto potessero esserci delle conseguenze sulle condizioni di credito per le famiglie e le imprese e sull’attività economica, nonché sulle assunzioni e sull’inflazione.
Il verbali del FOMC hanno notevolmente ridimensionato le aspettative di rialzi aggressivi dei tassi, ma hanno ridotto anche le possibilità di procedere ad un altro aumento dei tassi a maggio. In sostanza, i verbali del FMOC hanno mostrato che la Fed teme che le turbolenze bancarie possano innescare una recessione.
Intanto gli utilimi dati sull’IPC hanno mostrato che l’inflazione è rallentata più del previsto a marzo, ma c’è stato un aumento dell’inflazione core annuale che frena le aspettative accomodanti. Il mercato comunque continua a valutare anche l’ipotesi di tre tagli dei tassi entro la fine dell’anno.
Sul fronte valutario, l’indice del dollaro si è stabilizzato intorno a 101,5, rimanendo vicino ai livelli più bassi dall’inizio di febbraio.
Il cambio EURUSD intanto rimane vicino a quota 1,10 mentre il cambio con la sterlina britannica (GBPUSD) è salito a 1,25, non lontano dal massimo di dieci mesi di 1,2525 toccato il 4 aprile.