Il report sull’inflazione negli Stati Uniti allontana la possibilità che al FED, settimana prossima, possa effettuare un taglio superiore a 25 punti base. E in definitiva questo ridà spinta al dollaro.
Secondo i dati pubblicato oggi, ad agosto il tasso di inflazione annuale negli Stati Uniti è rallentato per il quinto mese consecutivo al 2,5% (rispetto al precedente 2,9%), il più livello basso da febbraio 2021. La discesa è stata maggiore delle previsioni del 2,6%.
Rispetto al mese precedente, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,2%, come a luglio e in linea con le aspettative.
Tuttavia l’inflazione core (che è ritenuta più attendibile perché viene depurata dalle componenti più volatili) si è stabilizzata al 3,2% (comunque al livello più basso degli ultimi tre anni), ma il tasso di inflazione core mensile è salito allo 0,3% dallo 0,2%, al di sopra delle previsioni dello 0,2%, suggerendo una persistente pressione inflazionistica.
Questi dati potrebbero limitare la capacità della Federal Reserve di tagliare i tassi di interesse in modo aggressivo, nonostante i segnali di raffreddamento del mercato del lavoro. Le probabilità di una riduzione del tasso di 25 punti base da parte della Fed la prossima settimana sono aumentate a circa l’80% dal 70% prima del report sull’inflazione.
Il risale così leggermente oltre 101,5, ma occhio perché sul grafico comincia a intravedersi un pattern pennant ribassista (che generalmente è di continuazione).
Il cambio invece rimane attorno alla soglia psicologica di 1,10, dopo esserci affacciato anche sotto tale livello.
A frenare lo slancio del dollaro è anche il dibattito presidenziale tra Trump e Harris, che ha aumentato le possibilità di una vittoria elettorale dell’attuale vice-presidente Harris, esercitando pressioni sul dollaro che è stato sostenuto dalle aspettative di maggiori tariffe e di un aumento della spesa fiscale sotto un’altra presidenza Trump.
Intanto il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni è salito al 3,67%.