Anche in questo avvio di settimana la corsa del petrolio sta continuando, col prezzo del che ormai si è riportato in area 80 dollari al barile, mentre i futures sul greggio sono saliti a 76 dollari al barile, sui massimi di un mese e mezzo.
Rispetto a una decina di giorni fa, entrambi i benchmark hanno guadagnato circa il 10%.
A spingere la quotazione di e sono essenzialmente le forti tensioni in Medio Oriente. Gli investitori si concentrano sulla risposta di Israele all’attacco missilistico iraniano della scorsa settimana. Questo scenario fa temere che il conflitto potrebbe allargarsi ad altri Paesi, soprattutto perché Israele continua le azioni militari a Gaza e in Libano.
Anche se al momento non ci sono ripercussioni sui giacimenti petroliferi iraniani, la cui produzione petrolifera è ormai prossima alla piena capacità, i rischi che tutto cambi all’improvviso rimangono perché l’incertezza su come evolverà la situazione è elevata, e c’è un’ampia gamma di scenari possibili.
Al netto di queste forti preoccupazioni geopolitiche, il mercato conserva gli interrogativi sulla domanda globale, in particolare da parte della Cina (il governo cinese dovrebbe annunciare nuove misure di stimolo economico, che potrebbero influenzare la domanda). Del resto fino a poco tempo fa il prezzo di e stava scivolando pesantemente proprio a causa del surplus di offerta.
Nel frattempo, l’Arabia Saudita ha aumentato i prezzi del petrolio per gli acquirenti asiatici, ma ha ridotto i prezzi per i mercati statunitense ed europeo. Ricordiamo che a dicembre l’OPEC+ dovrebbe cominciare a ridurre i suoi tagli, incrementando così la produzione globale.