Nulla di fatto. Sarebbe stato sorprendente il contrario. Janet Yellen e Mario Draghi non danno indicazioni sulla futura politica monetaria di FED e BCE, intervenendo al simposio di Jackson Hole, Wyoming.
Anzi i due si sono tenuti ben distanti dall’argomento tassi di interesse e inflazione.
La presidente FED ha spiegato come le riforme adottate dopo la grande crisi abbiano reso sostanzialmente “più sicuro il sistema finanziario americano e le banche sono più sicure. La loro capacità di assorbire le perdite è maggiore. Il sistema è più resistente e meglio preparato ad assorbire, invece che amplificare, choc avversi”. Ma comunque “rimangono rischi fin troppo familiari”.
Un discorso neutrale quello della Yellen, come era prevedibile. Ed era altrettanto prevedibile che il dollaro avrebbe reagito male, toccando (prima dell’intervento di Draghi) i minimi di tre settimane a 1,1884.
Poi è toccato a Mario Draghi giocare a nascondino. Come la Yellen anche lui ha sostenuto che le regole stabilite a livello internazionale dopo la crisi 2007-2009 sono servite e vanno conservate gelosamente (il Congresso americano e molti repubblicani vorrebbero ridimensionarle perché secondo loro limitative della capacitò delle banche e mercati di fornire capitali all’economia).
Draghi ha poi stoccato verso il protezionismo di Trump, dicendo che il commercio internazionale è la chiave per garantire lo sviluppo delle economie avanzate. Occorre sviluppare un quadro di regole internazionali e di cooperazione multilaterale che eviti protezionismi e tensioni tra Paesi.
Inoltre secondo Draghi è essenziale garantire piena funzionalità alle organizzazioni sovranazionali multilaterali e regimi regolatori del mondo della finanza. Una difesa della globalizzazione e della cooperazione.
Dopo Draghi, la crescita della coppia EurUsd è proseguita toccando quota 1,194 ai massimi di gennaio 2015, prima di rientrare fino a quota 1,192 (fonte grafica broker ).