Il mese di luglio si chiude con una delle peggiori settimane del dollaro da tre mesi a questa parte, mitigata leggermente proprio dal rush finale di venerdì pomeriggio.
L’indice del dollaro – che ha chiuso poco oltre quota 92 – ha quasi ceduto un punto percentuale in questi giorni, soprattutto a causa delle osservazioni accomodanti della Fed, rafforzate poi dai dati macro dei giorni immediatamente successivi.
Il presidente della Fed Powell ha affermato che gli aumenti dei tassi sono lontani, perché soprattutto il mercato del lavoro ha ancora “un po’ di terreno da coprire“. La banca centrale non ha fretta di ritirare lo stimolo.
A dare ragione alla FED sono stati i dati macro. Prima quelli sul PIL che hanno un po’ deluso (6,5% contro le attese di 8,5%), a dimostrazione che la crescita economica a stelle e strisce non è effettivamente così forte come ci si aspettava. Poi ci sono state le richieste di sussidi di disoccupazione settimanali, scese a 400 mila rispetto alle aspettative del mercato di 380 mila.
Infine è toccato ai dati sull’inflazione PCE, inferiore alle aspettative. Anche in questo caso, il dato ha fatto un assist alla FED, che da tempo sostiene che le fiammate dei prezzi sono solo temporanee e dovrebbero allentarsi gradualmente.