Il primo dei grandi appuntamenti con gli USA era con i verbali dell’ultimo meeting della FED (giovedì tocca all’inflazione).
In quella occasione i membri del board furono concordi nell’aumentare di 75 punti base il costo del denaro e continuare il processo di riduzione delle partecipazioni in titoli della Federal Reserve.
Dai verbali emerge che diversi banchieri centrali hanno sottolineato l’importanza di rimanere su questa strada aggressiva, al fine di soddisfare e garantire la stabilità dei prezzi. Secondo loro, il costo di un’azione insufficiente per ridurre l’inflazione probabilmente superava il costo di un’azione eccessiva.
Tuttavia, a un certo punto bisognerà rallentare il ritmo degli aumenti, non fosse altro che per vedere gli effetti degli aggiustamenti sull’attività economica e sull’inflazione. Per questo diversi partecipanti hanno indicato che, una volta che il tasso ufficiale avrà raggiunto un livello sufficientemente restrittivo, “sarebbe probabilmente opportuno mantenerlo per qualche tempo fino a quando non ci saranno prove convincenti che l’inflazione sarebbe tornata all’obiettivo del 2%“.
Diversi funzionari della Fed hanno poi affermato che sarebbe importante calibrare il ritmo di un ulteriore inasprimento delle politiche per mitigare il rischio di effetti negativi significativi sulle prospettive economiche.
Non emergono grandi certezze quindi, riguardo alle prossime mosse della FED. Per questo motivo il Dollar Index si è mantenuto sopra 113, dopo aver cancellato alcuni guadagni precedenti.
Anche il rendimento del titolo del Tesoro decennale è leggermente sceso (3,9%) dopo che i verbali del FOMC non hanno mostrato sorprese.
L’attenzione ora si rivolge al rapporto sull’IPC statunitense previsto per giovedì. Nuovi dati hanno mostrato che i prezzi alla produzione sono aumentati più del previsto a settembre, rafforzando la narrativa secondo cui la banca centrale statunitense manterrà i tassi di interesse più alti più a lungo per raffreddare un’economia surriscaldata.