La dinamica dell’inflazione ha dominato la scena nell’ultimo giorno prima del weekend.
Nell’Eurozona l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 6,9% a marzo, frenando con decisione rispetto all’8,5% del mese precedente. Si tratta della maggiore flessione da quando l’Eurostat ha iniziato a raccogliere dati nel 1991.
Tuttavia la componente “core” (quella più monitorata dalla BCE) cresce ancora, arrivando a 7,9% dopo il 7,8% di febbraio.
Negli Usa invece l’inflazione rallenta in misura superiore al previsto. L’indice PCE, quello preferito dalla Fed, è sceso al 5% a febbraio, meno del 5,1% previsto dagli analisti. Su base mensile l’aumento è stato dello 0,3%, in linea con le attese.
Dopo questi dati l’indice del dollaro ha recuperato quota, salendo verso 102,4, perché diversi responsabili politici della Fed hanno suggerito che sarà necessario un ulteriore inasprimento monetario per domare l’inflazione.
Sul mercato si consolida l’ipotesi che la FED alzerà i tassi di 25 punti base a maggio e si fermerà successivamente.
Intanto, mmentre i rendimenti dei Treasury decennali hanno toccato i minimi di seduta al 3,51%, il cambio EURUSD non riesce a tornare oltre 1,09.