Gli effetti della tensione in Medio Oriente cominciano a farsi vedere sul mercato petrolifero, visto che e hanno chiuso la settimana con un guadagno di un paio di punti percentuale, dopo aver vissuto un periodo decisamente fiacco.
Israele ha intensificato gli attacchi aerei su Rafah, nonostante sia stato dissuaso dai suoi alleati ad attaccare la città meridionale. Quello che pesa maggiormente sul petrolio è la posizione dell’Iran, perché un suo forte coinvolgimento nel conflitto potrebbe impattare direttamente sulla produzione di petrolio. Ecco spiegato perché il prezzo di e balla a seconda delle sensazioni riguardo all’evolversi della tensione.
Del resto, nell’ultimo rapporto sulle materie prime, la Banca Mondiale afferma: “Una moderata interruzione dell’offerta legata al conflitto potrebbe fare aumentare il prezzo medio del Brent quest’anno a 92 dollari al barile. Uno sconvolgimento più grave potrebbe portare i prezzi del petrolio a superare i 100 dollari al barile, aumentando l’inflazione globale nel 2024 di quasi un punto percentuale”.
Per il momento, il prezzo del si è consolidato oltre gli 80 dollari per barile mentre il si aggira attorno alla soglia dei 90 euro.
A sostenere il prezzo del barile è anche il miglioramento delle prospettive riguardo alla domanda, tema centrale per le previsioni sul prezzo del greggio.
L’inflazione dovrebbe muovere verso livelli più normali nei prossimi mesi, e intanto alcuni dati economici statunitensi più deboli del previsto hanno riacceso le speranze per i tagli dei tassi di interesse della Federal Reserve quest’anno, e questo significherebbe maggiori stimoli per la crescita economica (e quindi per la domanda di petrolio).
A sostenere il prezzo del barile è stato anche il dato sulle scorte di greggio statunitense, che sono diminuite a sorpresa di 6,37 milioni di barili (il mercato si aspettava un aumento di 1,6 milioni di barili).