Non sono giunte sorprese negative dalla report sull’inflazione negli USA. Anzi, il dato core sotto le aspettative finisce per penalizzare il dollaro, che appena pochi giorni fa aveva raggiunto i massimi di oltre due anni.
Il rapporto del Dipartimento del lavoro ha mostrato che a dicembre l’indice dei prezzi al consumo è aumentato per il terzo mese di fila al 2,9%, in linea con le aspettative. Il mese precedente era stato 2,7%. Su base mensile, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,4%, il massimo da marzo e superiore alle previsioni dello 0,3%.
Quello che ha sorpreso è l’indice core, che esclude voci come cibo ed energia, salito inaspettatamente solo al 3,2% contro le attese di un aumento del 3,3%. Su base mensile, i prezzi al consumo principali sono aumentati dello 0,2% a dicembre.
Nell’ultimo periodo sono cresciuti i timori del mercato per una crescita persistente dei prezzi, soprattutto per le politiche pro-inflazionistiche sostenute dall’amministrazione presidenziale entrante Trump. Di conseguenze era cresciuta l’aspettativa di una FED più cauta sul fronte del taglio dei tassi.
Ma il dato CPI core più debole del previsto raffredda i timori di una riaccelerazione dell’inflazione, alimentando la possibilità che la FED possa effettuare più tagli dei tassi nel corso dell’anno. A seguito del rapporto, gli operatori ora prevedono tagli dei tassi di interesse di 36 punti base da parte della Federal Reserve quest’anno, con un aumento di 9 punti base rispetto al giorno precedente.
Per questo motivo il Dollar Index è sceso a 108,7, allontanandosi dal massimo di due anni di 110 toccato a inizio settimana.
Anche il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni è sceso (al 4,68%) dopo il dato sull’inflazione, dopo tre sessioni consecutive di guadagni.
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