Era previsto, ma non in questa misura. La CBRT (banca centrale della Turchia) ha effettuato una manvora restrittiva alzando i tassi d’interesse dal 17% al 19%. Esattamente il doppio di quanto pensavano gli analisti.
La mossa si è resa necessaria per via degli ultimi balzi dell’inflazione, che a febbraio è risalita al 15,6% (massimo da luglio del 2019 e ben al di sopra dell’obiettivo della banca centrale del 5%), e la svalutazione della Lira (che aveva cancellato in poco tempo i guadagni maturati a inizio anno sul dollaro).
Il governatore Naci Agbal ha comunicato che la condotta restrittiva verrà mantenuta per tutto il tempo necessario, senza peraltro escludere ulteriori rialzi in futuro, malgrado il parere contrarissimo di Erdogan.
Proprio il sultano turco è stata una delle cause della recente burrasca, per via delle sue uscite a favore di un allentamento monetario (altro problema è il rialzo dei rendimenti globali). Settimana scorsa Erdogan ha fornito dettagli sul suo pacchetto di riforme economiche, affermando che il paese dovrebbe mettere da parte la stabilità dei prezzi.
L’esatto opposto di quel che pensa Agbal, che dal suo ingresso in carica a novembre scorso, ha spinto i tassi all’insù di 875 punti base. Proprio a novebre la Lira toccò il minimo storico contro il dollaro ( a 8.58).
La mossa ha avuto subito un forte impatto sui mercati, dove la lira turca è stata premiata dagli acquisti. Il cambio è sceso a 7,34, al minimo da oltre due settimane.