Come era prevedibile, dopo aver spinto per un po’ sull’acceleratore la Federal Reserve adesso tiene il freno tirato. Non ci sono grosse novità dal meeting dell’istituto centrale che ha deciso di lasciare il tasso all’1-1,25%, livello a cui furono portati lo scorso giugno con una stretta di 25 punti base.
Del resto le dichiarazioni della Yellen di qualche giorno fa avevano fatto capire che l’aria che spira dalle parti della Fed è adesso parecchio dovish, e questo era confermato anche dai dati poco brillanti sull’inflazione, che tarda a tornare verso il target del 2%.
La normalizzazione ci sarà (il programma è stato annunciato a giugno e servirà a ridurre le dimensioni del bilanci di 4500 miliardi di dollari), e forse comincerà già a settembre. Anche se adesso i futures sui Fed Funds esprimono l’ipotesi di un rialzo dei tassi entro dicembre con una probabilità inferiore al 50%.
L’istituto americano vede la parte mezza piena del bicchiere. Il mercato del lavoro ha continuato a rafforzarsi e l’attività economica è cresciuta, anche se in tono moderato. In più la creazione di posti di lavoro fa ben sperare.
La Fed ha usato toni ottimistici sia per quel che riguarda le spese delle famiglie che sugli investimenti fissi.
La decisione della FED, anche se era attesa, ha messo sotto pressione il dollaro sui mercati valutari. Il biglietto verde – già zavorrato dai problemi politici di Trump – è quindi scivolato pesantemente contro tutte le major.
Il cambio è volato oltre quota 1,17.
Adesso come adesso, per l’euro-dollaro i livelli di resistenza sono verso 1.1755 (minimo 8 gennaio 2015) e 1.1800 (per il livello livello psicologico). Un supporto sul fronte ribassista è invece a quota 1.1610.
Il biglietto verde va al ribasso anche contro yen ( 111,16) e sterlina ( 1,3107).