Nessuna sorpresa giunge dall’Australia, dove la banca centrale ha mantenuto invariato il tasso di interesse al minimo storico dello 0,1% per il 13° mese consecutivo.
Secondo l’istituto pur essendo l’inflazione aumentata, rimane comunque bassa in termini di fondo. Inoltre le pressioni inflazionistiche australiane sono inferiori a quelle di molti altri paesi, in un contesto di modesta crescita dei salari.
I membri del board hanno ribadito che il costo del denaro non verrà toccato finché l’inflazione effettiva non sarà in modo sostenibile nell’intervallo target compreso tra il 2% e il 3%.
Questo presumibilmente richiederà molto tempo, visto che servirebbe un mercato del lavoro tonico, in grado di generare una crescita dei salari sostanzialmente più elevata di quella attuale. Ma il board è paziente e aspetterà.
Tuttavia, gli analisti hanno colto un leggero cambio nella dialettica, che fa ritenere che la banca possa muoversi entro la fine del 2023, e non nel 2024 come detto finora.
Nella riunione della scorsa notte, la Reserve Bank of Australia ha anche confermato il piano di acquisto titoli di stato a un ritmo di 4 miliardi di dollari australiani a settimana fino a febbraio, quando esaminerà l’operazione. Entro metà febbraio, la RBA deterrà un totale di 350 miliardi di dollari di obbligazioni.
Sul ceppo Omicron, la banca ha affermato che è improbabile che possa far deragliare la ripresa economica.
Sul fronte valutario, il dollaro australiano si muove attorno quota 0,709 contro il dollaro USA (AUDUSD), dopo che pochi giorni fa ha toccato i minimi di 1 anno.
Il brusco calo recente è legato al clima di risk off che si è innescato sulle prime notizie riguardanti Omicron, ma è soprattutto connesso alla divergenza tra le politiche della Reserve Bank of Australia (cauta) e della FED (più hawkish).
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