Le tensioni crescenti tra Ucraina e Russia fanno vivere al petrolio una giornata ad altissima volatilità, spingendolo infine sui massimi di 7 anni.
In mattinata i prezzi del barile avevano continuano a concedere un po’ di tregua, scivolando intorno alla soglia dei 90 dollari, perché gli sforzi diplomatici hanno aumentato la possibilità di rilanciare l’accordo nucleare iraniano (con la conseguenza che l’Iran potrebbe aggiungere fino a 1,5 milioni di barili sul mercato).
Ma la situazione si è poi capovolta: Brent e WTI hanno messo il turbo, spingendosi fino a 94,5 dollari al barile (WTI) e 95,5 dollari (Brent), prima di cedere qualcosina.
A spostare l’ago della bilancia è l’aumento delle chance di un’invasione russa in Ucraina. La Casa Bianca ha esortato gli americani ad andarsene dall’Ucraina, perché ritiene che Mosca potrebbe lanciare l’invasione durante le Olimpiadi, dopo che più truppe russe sono state spostate verso il confine.
Inoltre l’AIE (agenzia internazionale dell’energia) ha affermato che se il divario persistente tra la produzione dell’OPEC+ e i suoi livelli target continuerà, le tensioni sull’offerta aumenteranno, aumentando la probabilità di una maggiore volatilità e pressioni al rialzo su prezzi. Anche perché la domanda di petrolio aumenterà di 3,2 milioni di barili al giorno quest’anno.
L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono stati indicati come i membri dell’OPEC con capacità inutilizzata. Insomma potrebbero pompare più greggio, ma non lo fanno.